giovedì 17 marzo 2011

Unità d'Italia, una storia da riscrivere

Oggi 17 marzo 2011 si celebra il 150° anniversario dell’unità d’Italia. Assistiamo in questo periodo a tanti dibattiti sull’argomento, troviamo tesi discordanti, ma c’è una generale visione storica dell’unità d’Italia e del risorgimento italiano che da un lato enfatizza ed esalta la campagna di guerra attuata dai Savoia e, sotto un altro punto di vista, non analizza propriamente le conseguenze e i benefici dell’unificazione del regno sotto la corona piemontese.

Tralasciando le fasi della guerra, che fu di conquista e di annessione e non di unificazione e provocò morti saccheggi e violenze, è importante dire che questa fu iniziata senza una dichiarazione di guerra al regno delle due sicilie. Non molto corretto, soprattutto per chi è passato alla storia con il nome di re galantuomo. Fu un atto di pirateria e non c’è da stupirsi di ciò giacché lo stesso Garibaldi dichiara il 5 dicembre 1861 in un discorso nel parlamento di Torino a proposito dei famosi Mille: “Tutti generalmente di origine pessima e per lo più ladra; e tranne poche eccezioni, con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto“.

L’annessione del sud allo stato Sabauda è stata spesso giustificata dalla menzogna che il mezzogiorno fosse povero misero e arretrato. Forse è proprio nella falsità di questa idea che si trovano le motivazioni dell’attacco al regno delle due sicilie, data la mancanza di fondi nelle casse piemontesi.

Cavour ammette alla Camera subalpina il 1 luglio 1850: «So quant’altri che, continuando nella via che abbiamo seguito da due anni, noi andremo difilati al fallimento. E che continuando ad aumentare le gravezze, dopo pochissimi anni saremo nell’impossibilità di contrarre nuovi prestiti e di soddisfare gli antichi».

Lo ammette Pier Carlo Boggio, deputato cavourriano nel 1859: «Ogni anno il bilancio del Piemonte si chiude con un aumento del passivo... L’esercito da solo assorbe un terzo di tutta l’entrata... Il Piemonte accrebbe di 500 milioni il suo debito pubblico... il Piemonte falsò le basi normali del suo bilancio passivo. Ecco adunque il bivio: o la guerra o la bancarotta. La politica del Piemonte in questi anni sarà detta savia, generosa e forte, oppure improvvida, avventata o temeraria, secondochè avremo guerra o pace».

La dinastia borbonica durò 126 anni, con essa il Sud, non solo riaffermò la propria indipendenza, ma ebbe un indiscutibile progresso nel campo economico, culturale, istituzionale; purtroppo “La storiografia ufficiale continua ancora oggi a sostenere che, al momento dell’unificazione della penisola, fosse profondo il divario tra il Mezzogiorno d’Italia e il resto dell’Italia: Sud agricolo ed arretrato, Nord industriale ed avanzato. Questa tesi è insostenibile a fronte di documenti inoppugnabili che dimostrano il contrario ma gli studi in proposito, già pubblicati all’inizio del 1900 e poi proseguiti fino ai giorni nostri, sono considerati, dai difensori della storiografia ufficiale: faziosi, filoborbonici, antiliberali e quindi non attendibili “(da Pedio - Economia e società meridionale a metà dell’Ottocento).

In realtà, all’epoca dell’ultimo re meridionale, Francesco II, l’emigrazione era sconosciuta, le tasse molto basse, come pure il costo della vita, il tesoro era floridissimo, l’economia in crescita, la percentuale dei poveri era pari all’1.34% (come si ricava dal censimento ufficiale del 1861) in linea con quella degli altri stati preunitari. La popolazione dai tempi del primo re della dinastia borbonica Carlo III (1734) a quelli di Francesco II si era triplicata e questo indicatore, a quei tempi, era un indice di aumentato benessere.

Il regno delle due sicilie, secondo gli studi statistici di Francesco Saverio Nitti, possedeva un patrimonio di 443,3 milioni di lire oro (il più alto tra tutti gli stati preunitari italiani e corrispondente al 65,7% di tutta la moneta circolante della penisola), seguito dallo Stato Pontificio con 90,7, dal Granducato di Toscana con 85,3 e dal Regno di Sardegna, con 27,1 milioni. Alla nascita dell'Italia unita, Nitti ritenne che il regno borbonico era lo stato che portava minori debiti e più grande ricchezza pubblica.

I Savoia hanno fatto credere di aver “liberato” il Sud dalle angherie e dalla fame. Ma dopo oltre 10 anni di dura repressione, iniziò un massiccio esodo di popolo dal Sud, ove prima erano sconosciute la disoccupazione e l’emigrazione.

Tralasciando di menzionare i numerosissimi primati (in Italia e nel mondo: se ne contano più di cinquanta!), ricordiamo che, nel 1856, alla “Mostra dell’industria di Parigi”, il Regno delle Due Sicilie fu premiato quale Terza Nazione Industriale al mondo. Nessun altro Stato italiano fu menzionato (Cfr. Vittorio Gleijeses “Storia di Napoli”).

Qui una serie di “primati” del Sud preunitario http://www.ilportaledelsud.org/primati.htm

In campo tributario, l’erario napoletano era il più prosperoso d’Europa, quantunque a fronte di un sistema impositivo fiscale giudicato il più mite del continente. Tra il 1815 ed il 1860, le aliquote di queste imposte non furono mai aumentate, né furono istituite nuove tasse. Tuttavia, le entrate erariali erano sempre in espansione. Come le ricchezze finanziarie del Regno della Due Sicilie erano più consistenti di quelle piemontesi, così il debito pubblico era più modesto; infatti, esso consisteva in 59,03 lire pro-capite per i meridionali, contro le 261,86 lire pro-capite per i sudditi del Regno di Piemonte (Giacomo Savarese, “Le finanze napoletane e le finanze piemontesi dal 1848 al 1860”).

E come è normale che sia dopo una guerra di conquista i Savoia prelevarono i fondi delle casse delle due sicilie per risanare i loro debiti e lanciare l’industrializzazione del settentrione, abbandonando il mezzogiorno e governandolo senza una logica statale corretta. Cancellarono tutta la legislazione precedente per applicare le leggi dello stato piemontese che non erano adeguate ad una realtà diversa come quella del mezzogiorno. E a dimostrare che non fu un’opera di unificazione, almeno da parte delle classi dirigenti dell’epoca, c’è il mancato cambiamento del nome del re Vittorio Emanuele che è rimasto II, come a indicare una conquista dell’Italia da parte del regno piemontese e non un atto di unificazione e di nascita del (nuovo) regno d’Italia.

La politica fiscale perseguita dallo Stato unitario fu un caso di vero e proprio drenaggio di capitali che, dal Sud, andarono al Nord. Queste le affermazioni di Giustino Fortunato nella lettera del 2 settembre 1899 a Pasquale Villari: «L’unità d’Italia… è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L’unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all’opinione di tutti, che lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura maggiore che nelle meridionali».

Un’altra verità storica venne sapientemente occultata dalla storiografia risorgimentalista, e cioè che, subito dopo l’unità, fu combattuta una cruenta guerra civile, con centinaia di migliaia di morti (1 milione di meridionali restarono uccisi), passata alla storia come lotta al brigantaggio. Ma chi sono i briganti? Si possono definire i partigiani, la resistenza del mezzogiorno all’invasione piemontese. Ne facevano parte molti braccianti meridionali che avevano sperato che il nuovo regime assicurasse una qualche riforma agraria. Non solo le loro aspettative andarono deluse, ma il nuovo governo introdusse la leva obbligatoria (inesistente durante il precedente regno) ed inasprì le imposte, portando alla rovina milioni di persone. Lo scioglimento dell'esercito borbonico e di quello garibaldino mise poi in circolazione migliaia di soldati sbandati. Il malcontento, le difficili condizioni economiche sopravvenute, il durissimo atteggiamento delle truppe di occupazione piemontesi, suscitarono le ire della popolazione che sfociarono nella rivolta armata e nel fenomeno del brigantaggio.

Ad esempio Nino Bixio, famoso eroe del risorgimento, eseguì oltre 700 condanne a morte senza processo. Da un giornale dell’epoca, L’Unione: «Bixio ammazza a rompicollo, all’impazzata... fa moschettare tutti i (soldati e ufficiali) prigionieri stranieri che gli capitano tra le unghie, e tira colpi di pistola a quei suoi ufficiali che osano far motto di disapprovazione».

Se volete approfondire e avere vari esempi di episodi di violenza da parte dei cosiddetti salvatori piemontesi vedete la diretta del 16 marzo de L’appeso: http://www.livestream.com/appeso/video?clipId=pla_b5c79ccb-b5b8-4768-82e5-2db0cc3ff4fd

In conclusione questo post non è contro l’unita d’Italia e sicuramente non è a favore del regno delle due sicilie, del quale i cittadini erano ancora sudditi (come in tutti gli altri regni europei del resto); vuole solo cercare, molto modestamente, di far conoscere una parte della storia del processo d’unificazione che non è trattata a sufficienza nei libri scolastici. Il sud, sulla base di una nuova lettura del risorgimento italiano non deve piangersi addosso o chiedere risarcimenti allo stato centrale. Coscienti del fatto che abbiamo pagato a caro prezzo l’unità d’Italia, dobbiamo lottare sicché si possa avere una corretta visione storica del risorgimento e della situazione preunitaria del sud e, orgogliosi del nostro passato, dobbiamo ricostruire con le nostre forze un mezzogiorno fiorente, prosperoso e avanzato così da tornare a essere il fiore all’occhiello di quest’Italia unita. Eravamo il motore d’Italia, muoviamoci.